Il goloso peccato, estasi della gola, che cos’è?
È il tartufo, il fungo ipogeo, della famiglia delle Tuberacee che nasce e si sviluppa aggrappato alle radici di un albero. Grazie a questa particolarità sviluppa il suo odore, che si sente con la maturazione delle spore.
Raccontano che sia nato da un fulmine di Zeus e che la sua quinta essenza fosse particolarmente amata dagli alchimisti del Medioevo.
La scoperta del tartufo è antichissima, le prime testimonianze, con l’uso e il commercio, risalgono ai tempi dei romani, circa duemila anni fa.
Il tartufo è stato nell’antichità lo status symbol di classi economicamente elevate. Un prestigio avvalorato anche da Platina: “è un eccitante della lussuria. Perciò è servito frequentemente nei pruriginosi banchetti di uomini ricchi e raffinatissimi che desiderano essere meglio preparati ai piaceri di Venere”. L’umanista Bartolomeo Sacchi, detto Platina già nel Quattrocento disquisiva di cibo del territorio, tra i suoi ammiratori si distingueva Leonardo da Vinci. Nel suo De honesta voluptate ac valetudine il primo trattato rinascimentale sull’alimentazione (1468) si parla del modo in cui in Umbria si trovano i tartufi: “mirabile è il fiuto della scrofa di Norcia, la quale sa riconoscere i luoghi in cui nascono, e inoltre li lascia intatti, quali li ha trovati, non appena il contadino le accarezzi l’orecchio”.
Si narra che Gioacchino Rossini lo definì il “Mozart dei funghi”.
Il poeta inglese George Byron si racconta che amasse i tartufi e che ne tenesse uno sulla scrivania, certo che il profumo stuzzicasse e eccitasse la fantasia. Si presume che gustò i tartufi alla stazione di posta di Pissignano nel 1817 con le trote del fiume Clitunno, che descrisse come una rinfrescante “pausa nel disgusto della vita”.
Un tesoro nascosto nella terra umbra, in grado di rappresentare un territorio e l’eccellenza della sua tradizione.
Un piacere irresistibile.